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Gasparro Fuscolillo, Croniche, edizione critica e studio linguistico a cura di Nadia Ciampaglia, Arce (Fr), Nuovi Segnali, 2008, pp. ccxcvi + 344.

Prima di questa edizione critica, l’opera storiografica di Gasparro Fuscolillo era nota solo in parte, grazie alla scoperta e alla pubblicazione che ne aveva fatto Bartolommeo Capasso (1876); iniziativa editoriale che la stessa studiosa non esita a definire «pregevole», ma che non poteva evitare un limite legato alla formazione del suo autore: «Capasso era [...] destinato inevitabilmente a fare i conti, per così dire, con un “difetto” d’origine : quello di essere uno storico, com’è ovvio, più che un filologo e/o un linguista» (p. lxxxvii).

Ciò ha determinato, innanzi tutto, una scarsa affidabilità dell’edizione Capasso quanto alla veste linguistica: lo storico napoletano segue criteri di trascrizione non sempre affidabili sul piano della resa né coerenti. Il problema è tanto più avvertito in un testo, come quello del Fuscolillo, ascrivibile alla categoria delle scritture semicolte, che impongono agli editori criteri particolarmente conservativi (D’Achille, 1994, pp. 56-57). Numerosi (e puntualmente segnalati da Ciampaglia nell’ampia Introduzione) sono inoltre i passi in cui Capasso (1876, p. 533) corregge presunte «inutili ripetizioni del Fuscolillo»; nel liquidarle frettolosamente come lapsus calami, egli trascura (né potrebbe fare altrimenti) di riscontravi la traccia di quell’oralità che innerva tutta la scrittura del chierico sessano. Al di là dei limiti filologici (che investono perfino la scrizione del nome dell’autore: Capasso opta per Gaspare; Ciampaglia, correttamente, ripristina Gasparro, lezione riportata dal ms. xxviii D 10 della Società Napoletana di Storia Patria, testimone unico dell'opera), va rilevato come il lavoro di Capasso restituisca solo alcune parti dell’opera, pari a un terzo della sua mole complessiva. Tali premesse giustificano appieno questa nuova edizione, eseguita secondo criteri filologici aggiornati e corredata da una ricchissima introduzione filologico-linguistica, oltre che da un utile glossario contenente, «sulla base di una concordanza elettronica, l’intero materiale lessicale delle Croniche» (p. 165).

L’introduzione (pp. ix-ccxcvi) è fondamentale per ricostruire la fisionomia di un’opera e di un autore, entrambi poco noti. Quantunque il testo fosse disponibile attraverso un’edizione incompleta e poco affidabile, le Croniche hanno attirato l’interesse degli studiosi che si sono dedicati allo studio dell’italiano dei semicolti e delle interferenze fra scritto e parlato: per es., D’Achille (1990) ha incluso il testo tra le fonti prese in esame. Quasi nulla si sa della figura di Gasparro Fuscolillo, apparentemente «ignoto agli storici di Sessa Aurunca» (Ce): sappiamo che fu canonico del capitolo della cattedrale, ma non conosciamo né l’anno di nascita né quello di morte (quest’ultima può essere circoscritta al decennio 1571-1581). Negli anni centrali del secolo Fuscolillo allestì i tre libri delle Croniche, in cui fece confluire una cronaca anonima del Regno di Napoli e una serie di materiali di altra provenienza, cui aggiunse « una lunga serie di notizie relative a Sessa Aurunca, in gran parte frutto di annotazione quotidiana e spontanea, che il canonico andava pazientemente raccogliendo lungo un ampio arco di tempo [...], alternando il suo lavoro di solerte cronista a quello di puntuale e paziente indagatore di fonti del passato » (p. x).

Complessi sono i tempi e le modalità di composizione dell’opera, che si riflettono nell’allestimento del codice che l’ha conservata : di tutti questi aspetti la nuova edizione rende conto in maniera dettagliata, attraverso una ricostruzione documentata e plausibile. È stato affrontato il problema delle diverse mani che si alternano a quella dell’autore, intervenuto a più riprese, per integrare, emendare e commentare sia la propria sia l’altrui scrittura. Ciò ha provocato esplicite reprimende : ad esempio, quella del commissario genovese Cristofano Grimaldo, che ricevette in prestito il manoscritto nel 1571, e quella di una giovinetta (individuabile in Vittoria della Pietra), che vi annotò la notizia del ritrovamento di una fravola bellissima. L’analisi del ductus e del modulo di scrittura, così come quella dei contenuti e delle forme linguistiche, permette alla curatrice di avanzare fondate ipotesi, se non sull’identità delle mani, quanto meno sul loro rapporto reciproco, nel quadro dell’articolata ed eterogenea composizione del manoscritto e dell’opera. La distinzione fra i diversi interventi che si succedono nell’allestimento del codice è fondamentale anche per la corretta descrizione della lingua del Fuscolillo. Per tale ragione tale distinzione è operativa in tutto il volume e non solo nei paragrafi dedicati alla descrizione materiale del codice ; nello studio linguistico e negli apparati l’appartenenza di un elemento allo scritto dell’una o all’altra mano è costantemente segnalata (a differenza di quanto accade nell’edizione Capasso).

Tutto ciò rende più affidabile e, di conseguenza, frubile, anche la minuziosa descrizione linguistica delle Croniche, a cui è dedicata la parte più ampia dell’Introduzione. A un’analisi della grafia (pp. c-cxxiv), tra usi dotti e abitudini semicolte, segue una rassegna dei fenomeni fonetici (pp. cxxiv-ccxxxviii); tra i fenomeni che inquadrano il testo nell’ambito dei dialetti centromeridionali compare l’assimilazione del nesso -nd- in -nn- (meno diffuso è il passaggio -mb- -mm-). La resistenza al dittongamento metafonetico e a quello spontaneo, ma non alla metafonesi di tipo ciociaresco, consente di avvicinare la lingua del Fuscolillo più all’area del Lazio meridionale che a quella di Napoli (comuni al napoletano sono invece altri tratti, quali alcuni fenomeni di prostesi). L’assenza di anafonesi e la conservazione di e pretonica allontanano questo testo dall’uso toscano.

Piuttosto ricca è anche la sezione dedicata alla morfologia (pp. ccxxxviii-cclxxv), soprattutto quella relativa alla flessione verbale. Spesso le forme toscaneggianti si affiancano a quelle indigene: nel presente indicativo la quarta persona con la vocale tematica convive accanto all’esito toscano in -iamo; nel perfetto indicativo si osserva l’alternanza tra il tipo cavalcao e il tipo cavalcò. Le Note di sintassi (pp. cclxxviii-ccxcvi) integrano alcune osservazioni presenti in D’Achille (1990). Come sottolinea la studiosa, alcuni tratti sintattici «sono tipici dei dialetti meridionali in genere (l’accusativo preposizionale, l’uso transitivo e pseudoriflessivo dei verbi intransitivi etc.) o usuali nell’italiano antico (paraipotassi, omissione del che subordinante); altri tratti sono caratteristici della modalità orale (dislocazioni, anacoluti, che “polivalente”, concordanze ad sensum)» (p. cclxxvi).

Ne emerge un profilo linguistico assai interessante per almeno tre ragioni: (i) il carattere “popolare” del testo ne fa un documento prezioso delle varietà semicolte, il cui studio negli ultimi decenni ha subìto un notevole sviluppo (a partire almeno dal volume di Manlio Cortelazzo del 1972); (ii) la scarsa familiarità dei semicolti con la scrittura produce in questi testi forti interferenze con la dimensione orale : gli anacoluti, le concordanze ad sensum e le frequenti ripetizioni (emendate da Capasso e ripristinate da Ciampaglia) sono traccia evidente di un testo poco pianificato e intriso di oralità. Documenti di questo tipo forniscono indicazioni utili per ricostruire (parzialmente) il parlato italoromanzo delle fasi più antiche ; (iii) il testo delle Croniche, proprio « in quanto scrittura “non pianificata” e dalla forte dimensione “orale”, si rivela [...] uno strumento utilissimo per la messa a fuoco di un’area, quella campano-settentrionale, di cui poche sono a tutt’oggi le testimonianze » (p. ix). Infatti, se è vero che abbondano gli studi linguistici sulla Campania, sia di taglio storico sia sincronico, è ben noto come l’attenzione si sia addensata sulla varietà napoletana, troppo spesso (e troppo facilmente) assurta a paradigma linguistico di una regione non priva di interne differenziazioni. Sotto questo aspetto, l’interesse che le Croniche suscitano nel linguista è parallelo a quello che, sul piano storico, ha attirato il Capasso, « a cui non ne era sfuggito il valore di fonte “decentrata” e quindi funzionale ad una visione storica non più ridotta entro i confini della sola città di Napoli [...], ma finalmente aperta anche ad una prospettiva municipale, grazie alla minuta e dettagliata, pur se ingenua, descrizione delle vicende di Sessa Aurunca » (p. ix).

Francesco Bianco

Riferimenti bibliografici

Capasso, Bartolommeo (1876), Le cronache de li antiqui ri del Regno di Napoli di D. Gaspare Fuscolillo, «Archivio Storico per le Province Napoletane», i, pp. 35-81 ; pp. 533-564 ; pp. 621-648.

Cortelazzo, Manlio (1972), Avviamento critico allo studio della dialettologia italiana. iii. Lineamenti di italiano popolare, Pisa, Pacini.

D’Achille, Paolo (1990), Sintassi del parlato e tradizione scritta della lingua italiana, Roma, Bonacci.

D’Achille, Paolo (1994), L’italiano dei semicolti, in Storia della lingua italiana, ii, Scritto e parlato, a cura di Luca Serianni e Pietro Trifone, Torino, Einaudi, pp. 41-79.

(da «La lingua italiana. Storia, strutture, testi», VII, 2011, pp. 216-218)

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