(1991) Lega s.f.

Durante gli anni '80, nel quadro degli eventi che di lì a breve avrebbero profondamente cambiato gli equilibri della politica italiana, si sviluppa nel nord del Paese il fenomeno delle leghe; nate per difendere gli interessi (soprattutto economici) o per rivendicare l'identità e l'autonomia di una regione, queste nuove formazioni ottengono presto i primi successi elettorali, a scapito dei grandi partiti tradizionali. Umberto Bossi, sanguigno fondatore della Lega Lombarda, diventa de facto il leader di un movimento che porta nel 1991 (dopo un precedente accordo elettorale nel 1989) alla nascita della Lega Nord, confederazione cui aderiscono le più importanti formazioni leghiste. Il vocabolo lega (così come i suoi derivati), presente nel nostro lessico dal XIV secolo col significato di 'alleanza fra diversi soggetti uniti da obiettivi o interessi comuni', ha subìto un arricchimento semantico: Lega, con la maiuscola, designa ormai (per lo meno nella stampa quotidiana e periodica) quasi esclusivamente il partito, mentre leghismo, leghista (novità registrata da DM1 come “colui che appartiene ad una lega così detta di resistenza fra gli operai e i lavoratori” [ho cambiato le virgolette citazionali come sua indicazione (anche nella precedente citazione da GDLI; mi chiedo, tuttavia, se non andrebbero cambiate in tutti i casi in cui la definizione è presa da un dizionario, anche il GRADIT o altri. E non sarebbe meglio uniformare le virgolette in caso di citazioni da libri o riviste e quelle da dizionari? Intendo usare virgolette basse o alte]) e leghistico si riferiscono oggi assai più al fenomeno politico che non ai movimenti sindacali; a leghista si contrappone il meno frequente legaiolo, che ha analogo referente (il militante della Lega Lombarda/Nord) ma connotazione negativa: «6 militanti della Lega Lombarda, 6 lumbard, 6 legaioli ubriachi di sole e birra si erano avventurati cantando e sventolando le loro bandiere in fondo a viale Espinasse» (Gino&Michele, Rambo 2, la Bovisa, «Cuore», 8 luglio 1991, p. 7). A partire dagli anni '90 l'affermazione della Lega e del suo leader (un discorso per certi versi analogo potrebbe valere anche per Forza Italia e Berlusconi) ha contribuito al rinnovamento del rapporto fra la politica e i cittadini, attraverso l'elaborazione di un discorso dal carattere spiccatamente populista e da atteggiamenti antiintellettualisti: abbandonato il “politichese” della Democrazia Cristiana e della Prima Repubblica, la comunicazione leghista ha tratto la propria efficacia da un impasto che ha come base la lingua comune (con qualche tecnicismo di facile accesso), colorita con pochi settentrionalismi (che aumentano nei contesti comunicativi locali) e trivialismi, in luogo dei burocratismi del discorso politico tradizionale; un linguaggio fatto di parole chiave e di simboli, come quel carroccio che richiama alla memoria le lotte medioevali dei comuni contro l'Impero. Grazie all'eco dei media alcune espressioni e alcuni slogan sono diventati familiari: da «Roma ladrona» a «La lega de l'ha duro», che ben esprime l'ideologia machista professata dal partito e «che ha dato luogo ad un sostantivo astratto - si fa per dire - il "celodurismo"» (Beniamino Placido, «La Repubblica», 3 ottobre 1993, p. 37); fino allo «schiavi di Roma? Mai!» (frase accompagnata dal disegno di un pugno chiuso col dito medio alzato, casomai non fosse chiaro il messaggio) campeggiante su una maglietta verde indossata di recente da Renzo Bossi, rampollo di Umberto. Sebbene l'uso effettivo del dialetto (o, per meglio dire: i dialetti) sia limitato ai discorsi e alla comunicazione politica ed elettorale a carattere più locale, i vernacoli settentrionali svolgono un ruolo simbolico nell'ideologia leghista e nell'immagine riflessa della Lega: non a caso per la stampa Umberto Bossi è ormai il Senatur, mentre lumbard sono i militanti e i sostenitori del partito (della Lega Lombarda prima, della Lega Nord poi). Il valore simbolico delle parlate settentrionali rientra fra le strategie con cui il movimento ha costruito l'idea di un nord culturalmente unitario e “altro” rispetto al resto della penisola: quella Padania (quasi una retroformazione dall'aggettivo padano, oggi usato anche con il significato particolare di “simpatizzante, militante della Lega Nord”, GDLI-Suppl2009) che corrisponde non tanto al territorio corrispondente alla Val Padana, quanto all'insieme delle regioni settentrionali e all'unità politico-amministrativa agognata per queste ultime (alla nazione e al popolo padani si contrapporrebbe, secondo l'ideologia leghista, lo stato italiota, così definito spregiativamente). Il vocabolo, rifiutato dal GRADIT e da altri dizionari dell'uso (che però accolgono il neologismo padanista 'chi sostiene l'autonomia della Padania'), è largamente attestato con questo significato (fortemente connotato in senso politico) a partire dagli anni '90; in precedenza era stato usato, con accezione geografica, da giornalisti e scrittori: «In pavese ed in tutti i dialetti celto-liguri della Padania centrooccidentale, ciula significa fottere» (Gianni Brera, Tempo di spareggi per Roma e Juventus, «La Repubblica», 14 ottobre 1984, p. 27). Attorno a Padania ruota tutto il vocabolario della lega, solcato da non poche oscillazioni e ambiguità: negli anni, a seconda del clima politico, i dirigenti del partito hanno parlato di autonomia, indipendenza, secessione, federalismo con sorprendente nonchalance nel considerare, usare e alternare l'uno e l'altro vocabolo, in modo non del tutto ortodosso. L'esempio più interessante è forse quello di federalismo, sistema politico realizzato storicamente quando alcuni soggetti «mettono in comune una parte importante della loro sovranità politica consegnandola a un'entità superiore, per lo più con l'obiettivo di proteggere la loro sicurezza e di promuovere il loro benessere [...]. Deve, quindi, essere cristallino che il federalismo nasce dal basso» (Pasquino 2010, p. 78); risultano evidenti le differenze fra questo modello, al quale possono essere ricondotte le esperienze di paesi come gli Stati Uniti d'America e la Germania, e la situazione italiana, cui il paradigma appare difficilmente applicabile; in Italia è semmai plausibile parlare di devolution (altro concetto cavalcato dalla Lega, da affiancare alla lista precedente), come cessione di poteri dallo stato centrale alle regioni, nella ricerca di una maggiore efficienza amministrativa; in questo campo, ad esempio, si colloca il cosiddetto federalismo fiscale, al centro del dibattito politico recente. Non ostante ambiguità e oscillazioni politiche, che ben si riflettono in un vocabolario non sempre articolato con coerenza e usato con competenza, significativo è stato l'influsso esercitato negli ultimi vent'anni dal movimento leghista e dal suo leader storico: «ha inventato un popolo, una lingua (il lumbard), una terra (la Padania), uno stile (il celodurismo) e una selva di insegne e parole d'ordine, pescando alla rinfusa dalla storia e dalla filmografia hollywoodiana, dai fumetti Super Eroica e dai miti celtici, secondo l'estro personale» (Curzio Maltese, Giacca a quadri e camicia verde, «La Repubblica», 6 maggio 1996, p. 1). In tempo di celebrazioni dell'unità d'Italia, è utile tenerne conto.

(Francesco Bianco)

[da Itabolario. L'Italia unita in 150 parole, a cura di M. Arcangeli, Carocci, Roma, 2010, pp. 264-266]

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